MÜRAC
MÜRAC
Foto di Luca Giacosa
6 luglio 2024 – 31 dicembre 2024
Per secoli i castagni hanno rappresentato una delle principali fonti di sostentamento per le popolazioni che abitavano la fascia di montagna compresa tra i 700 e i 1000 metri di altitudine: alberi capaci di vivere diversi secoli, sono stati coltivati e manutenuti sin dai tempi dei romani in cambio dei loro nutrienti frutti. Sono stati testimoni di avvenimenti storici e di cambiamenti, e sono custodi di un territorio che è stato plasmato dal loro sfruttamento. Queste aree della valle erano un tempo le più densamente popolate proprio in funzione della presenza dei castagneti: moltissimi sono infatti gli insediamenti e le borgate, di cui ancora oggi vi è traccia.
Questi territori, hanno vissuto infatti storicamente due grandi esodi: il primo, nel diciannovesimo secolo, quando moltissime persone emigrarono nella vicina Francia o nelle Americhe in cerca di una vita migliore, e il secondo, negli anni cinquanta del Novecento, quando nelle città di fondovalle aprirono numerose fabbriche, e molti montanari e montanare scelsero di diventare operai e operaie e abbandonare la vita rurale. Nonostante i progressi tecnologici degli ultimi duecento anni, molte frazioni non sono mai state raggiunte da strade né tantomeno dalla rete elettrica; laddove questi collegamenti venivano progettati e infine costruiti, nelle borgate interessate erano rimaste solo poche persone anziane perché i giovani si erano già trasferiti altrove. “Qui la terra è dei morti” diceva Margherita Allietta di Trinità di Demonte, classe 1889, quando nel 1971 venne intervistata da Nuto Revelli per la stesura de “Il mondo dei vinti”: la maggior parte delle persone che emigravano verso le Americhe, verso la Francia o verso la pianura, non tornavano più nei luoghi in cui erano nate,
creando così una cicatrice ben visibile negli insediamenti e nei boschi circostanti. Su questi territori, marginali ma un tempo vissuti, è ora calata la notte.
L’abbandono e l’oscurità sono lo sfondo di questa serie di fotografie. Il nero della notte è un colore pieno, carico di memorie nascoste, di storie dimenticate, un vuoto avvolgente. Illuminando questo buio con un faretto, lo sguardo del fotografo si posa su interni di case non più abitate da oltre cinquant’anni, dove si trovano oggetti semplici e poveri: un letto, un tavolo, un camino, qualche vettovaglia corrosa dalla ruggine, una bottiglia di vino vuota. Le borgate e gli alberi sono fotografati dall’alto: le prime risultano come piccole isole di luce nel buio dei boschi, tagli geometrici di tetti e strade, la presenza umana isolata nella natura; i secondi, attraversati dalla luce, sembrano evocare le braci di un focolare, come a dar loro una nuova forma sottolineando l’importanza che hanno avuto per gli abitanti.
Gli scatti fotografici indagano il complesso rapporto tra l’uomo ed il territorio, modificatosi col trascorrere del tempo. Senza voler mitizzare la memoria di una società contadina estinta, le immagini documentano le rovine di un ordine dello spazio e della società tipici dell’economia preindustriale. Gettano luce sui segni di un esodo che nel giro di pochi decenni ha svuotato le montagne delle sue genti e dei loro secolari saperi. L’esposizione fotografica è il risultato di un’operazione di archeologia visiva, che attraverso l’esplorazione di villaggi e boschi, ha messo a fuoco quegli oggetti che per esigenza e necessità, sono divenuti scarto, rimanendo bloccati nel tempo e nello spazio.
Mürac, è un termine dialettale usato per indicare le castagne scartate durante il raccolto, e lo prendiamo in prestito per il titolo di questa mostra: diventa così la metafora di ciò che è stato abbandonato lungo il percorso di vite mutate profondamente da scelte dettate da cambiamenti epocali.
Luca Giacosa (1982) si è avvicinato alla fotografia nel 2004. Dopo l’incontro con Ivo Saglietti, nel 2007 ha iniziato il corso in Documentray Photography presso l’University of Wales di Newport, durante il quale ha realizzato progetti che spaziano dalla ritrattistica al paesaggio notturno, dalla fotografia concettuale a quella editoriale. Terminati gli studi si è trasferito in un piccolo borgo alpino di 70 abitanti dove ha vissuto per 10 anni. Vive a Cuneo. I suoi lavori sono apparsi in mostre collettive in Italia ed all’estero e su riviste, ricevendo diversi premi e riconoscimenti.